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I fili 
di Gianna Mazzini

OGNI ESSERE È INDISSOLUBILMENTE LEGATO DA MIGLIAIA DI FILI INVISIBILI AGLI ALTRI ESSERI E ALL'AMBIENTE CIRCOSTANTE. ECCO UN MODO DI RAPPRESENTARE LA TEORIA DELL'ORIGINE DIPENDENTE, O ENGI, DOVE QUEL LEGAME INVISIBILE SI IDENTIFICA CON L'AMICIZIA, L'AMORE E TUTTE LE ALTRE POSSIBILI RELAZIONI: CON LA MATERIA VIVA CHE È L'UMANITÀ

Anche se non si vedono, esistono milioni di fili fra noi. Invisibili come le onde radio, come le traiettorie degli uccelli o le strade dei pesci, o come i percorsi dei miei pensieri. Sono sentieri invisibili eppure autentici, che rivelano una verità: non c'è niente e nessuno nell'universo che sia davvero separato dal resto. Al contrario, ognuno di noi si manifesta solo grazie alla sua relazione con altro e altri. Questa è engi, la teoria dell'origine dipendente. Se la accettiamo davvero, cioè se siamo capaci di comportarci di conseguenza, diventa più difficile continuare a vivere senza rispetto e a coltivare il pensiero di poter raggiungere la felicità indipendentemente dagli altri. Quando mi immagino come un'individua separata dal resto casco in una bolla d'aria, scivolo in una condizione fasulla, che è la materia prima della mia sofferenza. La strada che mi fa uscire dal tunnel è la rivoluzione umana, che mi porta a liberarmi dall'illusione delle separazioni e alla consapevolezza di un'appartenenza più profonda. Questo dice la teoria di engi: ogni essere è indissolubilmente legato da migliaia di fili invisibili agli altri esseri e all'ambiente circostante. Ma di cosa sono fatti questi fili? Possono essere fatti d'amore, di parentela, d'amicizia, di relazioni professionali, di conoscenze più o meno occasionali. In genere noi intendiamo questi temi come caselline separate e da barrare: ce l'ho, mi manca. Eppure secondo il Buddismo la relazione umana è fatta sempre della stessa pasta. Perché parte sempre da me e riguarda il modo in cui mi metto in contatto con gli altri. È da smontare l'idea che ci siano diversi modi di comportarsi a seconda della categoria di relazioni. In amore così, in amicizia cosà. Da smontare l'idea che l'amore sia un po' come una guerra, qualcosa in cui per ottenere quel che vogliamo è lecito tutto. Da smontare l'idea che le relazioni di lavoro "servano" e vadano usate opportunisticamente o che la socialità debba essere per forza il trionfo del nulla. Che io sia fantastica con i miei amici e carogna con gli altri, o che io mi comporti correttamente solo con quelli che stimo, non crea valore nella mia vita. C'è da sostituire all'idea di misurarsi con gli altri quella di diventare noi come quelli che vorremmo intorno. Lavoro con gli altri come vorrei che gli altri lavorassero con me? Amo come vorrei essere amata? Sono l'amica che vorrei? Per avere un amore bello, ad esempio, potrei curare con grande attenzione anche tutti gli altri tipi di relazioni e non soltanto quello. Il mio comportamento in ogni tipo di relazione, anche la più occasionale, dovrebbe avere la stessa qualità. Certamente cambierà l'intensità a seconda della profondità della relazione, ma è della stessa pasta che sono fatte le amicizie, gli amori e tutte le altre possibili relazioni. La pasta di cui sono fatte è l'umanità. È "umana" una situazione, una persona che rivela qualcosa di imprevisto; calore, sensibilità. È umano chi non si tira via, chi non chiama in soccorso schemi, astrazioni o regole. Erano profondamente umani quelli e quelle che in tempi di abominio si spendevano per salvare altre vite dall'orrore delle leggi degli stati. Erano umani quelli che in tempi di schiavitù trattavano i neri da simili. Sono umani quelli che si commuovono. O stanno dritti mentre tanti si piegano. Perché l'umanità ha qualcosa di speciale.Rompe la struttura rigida, passa dal tetto, apre una crepa e da lì entra il sole. È materia viva l'umanità: qualcosa che sembra invisibile e invece c'è. E te ne accorgi se c'è. Perché l'umanità non è qualcosa che si spende da soli. È la riga che unisce, è un filo. E io ne ho un capo in mano. Dunque non c'è relazione che mi veda mai impotente, perché se tiro il mio capo del filo muovo, inevitabilmente, anche l'altro capo. E recitando Daimoku sinceramente quel filo può brillare, magari trasformarsi da latta in oro. Dicono che stiamo vivendo un momento in cui l'umanità è diventata merce rara. Tanto che ce la si scambia solo tra simili. Come avviene in povertà. L'unico panino che ho lo divido con mio figlio, col mio amore, con la mia famiglia. E gli altri facciano altrettanto. Mi viene in mente una favola. Una persona chiede a un buddista cosa sia l'inferno. E lui lo porta a vederlo, l'inferno. È dentro una sala larga e luminosa, riccamente imbandita di ogni prelibatezza: file di tavoli con tovaglie splendide e splendide posate preziose e cascate di frutta e composizioni di cibi straordinari. Ma le persone che sono lì sono tutte tristi e disperate perché hanno, alle estremità delle braccia, delle bacchette lunghe quanto le braccia che impediscono loro di portare il cibo alla bocca e dunque di poter godere di tutta quella magnificenza. Avere tutto a portata di mano e non saperlo cogliere è l'"inferno". E il paradiso buddista? Quello com'è fatto? Ti ci porto, dice il primo, e i due vanno dentro una sala larga e luminosa uguale in tutto e per tutto a quella dell'inferno. Stesse file di tavoli imbanditi, stesse prelibatezze. Ma lì sono tutti felici, anche se anche loro hanno le bacchette lunghe attaccate alle braccia che gli impediscono di arrivare ai cibi e portarseli alla bocca. Sono felici perché si imboccano a vicenda.
Eccola: l'umanità

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