Bene e male
Buddismo e Società n.158 - maggio giugno 2013
Principi fondamentali
Non dualità di bene e male
di Manuela Vigorita
Che cos'è il bene? E cos'è il male?
Forse, cercando dentro dentro, dove le parole sembrano quasi inutili perché non
bastano a spiegare, ognuno di noi lo sa.
Poi, però, c'è la vita di tutti i giorni, quella vera e concreta in cui ogni attimo
decide del futuro, e tutto è talmente troppo e tutto mischiato - sentimenti,
ricordi, desideri, pensieri, aspettative. Ci sono gli altri e ci sono io, questo
piccolo io che fatica così tanto a capire qual è la giusta direzione, e come
comportarsi e come fare per fare bene. E parliamo della vita tutta, parliamo di
qualcosa che riguarda ogni aspetto della nostra fede.
«La pratica del Buddismo, in fondo, - scrive Daisaku Ikeda in La saggezza del
Sutra del Loto - è una lotta senza fine, una eterna lotta fra il bene e il male,
l'oscurità e l'Illuminazione, la felicità e l'infelicità, la pace e la guerra, la creazione
e la distruzione, l'armonia e il disaccordo. Questo è il vero aspetto dell'universo.
Perciò l'unica strada, l'unica alternativa, è lottare e vincere. Per questo motivo il
Budda viene chiamato anche il Vittorioso».1
Non c'è tanto spazio per equivoci. Il Budda è una persona che incessantemente
lotta e vince sul male, non vive tranquillo su un eremo o su un'isola felice, ma di
ogni luogo fa un luogo felice. Con le sue capacità, i suoi limiti di essere umano, i
suoi sforzi, la sua fede. Una persona come noi che in ogni istante decide di
lottare per il bene di sé, di tutti, dell'universo intero, nessuno escluso. E vince.
Ogni istante. Senza pensare di farlo domani, senza aspettare un momento
migliore, o circostanze diverse. Senza paura o riserve. Ecco. Proviamo a
chiederci per quanti istanti nell'arco di una giornata decidiamo noi di partecipare
a questa lotta, a questo compito, a questo voto. E per quanti istanti cediamo, ci
distraiamo, pensiamo solo al nostro bene personale, o ci crogioliamo in pensieri
e azioni che ripetono la nostra tristezza, la nostra impotenza, la nostra rabbia, la
nostra delusione.
Quello che è in gioco è il futuro, è la felicità. La trasformazione della realtà.
Imparare a vivere partecipando a questa lotta tra bene e male, oscurità e
Illuminazione, è mettere in pratica gli insegnamenti che ci hanno lasciato i nostri
maestri, seguire il loro esempio e usare la nostra vita per continuare. Non
possiamo sottrarci né accontentarci o credere che non ci riguardi. Perché bene
e male sono in ogni aspetto della nostra esistenza. Di continuo, senza
interruzione. Nelle cose piccole e in quelle grandi. Nella mia vita e in quella di
tutti. E praticare per i propri scopi personali senza essere pronti e disposti a
iniziare una lotta contro il male che ci pervade e ci circonda non ha tanto senso
e, forse, non porterà tanti frutti.
Parlo di lotta contro il male perché, se davvero desideriamo il bene nostro e dei
nostri cari e degli altri, non c'è un altro modo di crearlo. Il bene, per come lo
spiegano, per come si legge nei vari testi, non è il semplice star bene con se
stessi o per se stessi.
Sia Nichiren che Shakyamuni ci mostrano la stessa decisione di non tenere
l'Illuminazione per sé, di non accontentarsi di aver compreso la realtà e la
Legge, non gli basta la loro felicità. Entrambi hanno dovuto decidere di dare
inizio a una infinita battaglia contro l'oscurità della vita che non permette a
uomini e donne di assaporare la gioia che deriva dalla vita stessa. Nichiren
Daishonin, in particolare, in più scritti racconta questa sua decisione, racconta
che sapeva di andare incontro a persecuzioni e all'odio e al giudizio di tutti se
avesse parlato, se avesse pronunciato Nam-myoho-renge-kyo. «Se ora mi
preoccupassi di risparmiare la mia vita, - scrive in Ripagare i debiti di gratitudine
- in quale futura esistenza conseguirei la Buddità? In quale futura esistenza sarei
mai in grado di salvare i miei genitori e il mio maestro? Con questo pensiero
costante, decisi d'iniziare a parlare chiaramente. E, proprio come mi aspettavo,
venni scacciato, diffamato, attaccato e ferito».2
Non c'è bene di per sé, da trovare chissà dove. Non c'è terra pura da cercare
fuori di noi. Non sembra ci sia neppure Illuminazione senza lotta contro
l'oscurità. È un principio particolare, forse difficile da comprendere, ma
essenziale per riuscire a vivere in prima persona gli insegnamenti buddisti.
Bene e male coesistono nella vita. Non: qui il bene e lì il male. Ma entrambi qui e
ora. Indissolubilmente uniti, facenti parte della stessa realtà.
È come per il Budda e il comune mortale. Il Budda è un comune mortale.
Almeno per il Buddismo di Nichiren Daishonin e per il Sutra del Loto. È un
comune mortale che manifesta la propria natura illuminata, vincendo sulle
proprie illusioni e la propria oscurità. Che non si cancella, non sparisce, non
muore, perchè è parte di noi come un dito o un occhio, un piede. Come il
sangue che irrora il nostro corpo. Non si può eliminarla l'oscurità. Ma
combatterla sì, si deve. Vincere tendenze, pensieri che offendono la vita,
attaccamenti, stupidità. Vincere l'illusione di essere poveri e impotenti, bisognosi
e deboli, combattere lo sguardo di rabbia o di miseria, di invidia o di rancore con
cui guardiamo gli altri. Ogni giorno, ogni giorno illuminarci è vincere sulla nostra
oscurità.
«Il Gran maestro Miao-lo - scrive il Daishonin in L'entità della Legge mistica -
commenta:
"L'Illuminazione non è una entità separata, bensì dipende completamente
dall'ignoranza e l'ignoranza non è una entità separata, bensì dipende
completamente dall'Illuminazione". L'ignoranza è uno stato di illusione che va
stroncato mentre l'Illuminazione è lo stato che va manifestato».3
Così è per il bene e per il male. Non c'è bene che non sia lotta contro il male. Se
lo pensiamo, stiamo con il nostro pensiero dentro un'illusione che ha il sapore di
una favola, bella magari, meravigliosa, ma che non è la realtà. Ed è impossibile
cambiare, creare pace, felicità, assaporare la gioia della vita se nella realtà non
riusciamo a starci. Questa realtà di cui, ci piaccia o no, il male è parte integrante,
anche quando non vogliamo vederlo, anche se a volte vorremmo fuggire. Tanto
che Nichiren Daishonin spiega: «Nella frase "coerenza dall'inizio alla fine" (frase
che recitiamo in Gongyo ogni mattina e sera, n.d.r.) "inizio" indica la radice del
male e la radice del bene, mentre "fine" indica l'effetto del male e l'effetto del
bene. Una persona che si è completamente risvegliata alla natura del bene e del
male dalle radici sino ai rami e alle foglie è chiamata un Budda».4
Il male c'è, ovunque. E può distruggere: i nostri sforzi, le cose belle, persino la
vita. Se non lo combattiamo, se non abbiamo il coraggio di guardarlo negli occhi
e sfidarlo. «Nichiren dice: "Opporsi al bene si chiama male e opporsi al male si
chiama bene". Bene e male non sono valori assoluti, ma relativi. È perciò
importante dirigere sempre il proprio pensiero e le proprie azioni contro il
male».5 Ecco. Quando facciamo emergere questo coraggio dalla nostra vita,
quando con tutte le nostre forze cominciamo e ricominciamo a combattere il
male dentro e fuori di noi, allora stiamo concretamente creando del bene,
facendo del bene. Non solo, è come se in qualche modo "usassimo" il male in
maniera positiva, come se lo trasformassimo in uno strumento. Magari per
vincere l'illusione che esista una terra felice lontano da dove siamo o che ci sarà
per noi un tempo in cui poter essere finalmente e totalmente liberi dal male.
Scrive a tale proposito il presidente Ikeda: «Si è portati a pensare che il Budda
sia l'opposto del male, che abbia completamente sradicato il male dalla sua
vita. Ma un essere umano non può sradicare completamente il male nella
propria vita. Un Budda completamente libero dal male sarebbe dunque un
essere astratto, un mito, e per le persone ordinarie raggiungere la Buddità
sarebbe impossibile. Quando gli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto
parlano di persone che diventano Budda, esprimono solo concetti, non
espongono fatti reali. Il Sutra del Loto, invece, non è un insegnamento astratto,
ha il potere di estinguere le sofferenze e di condurre alla felicità».6
La Buddità sta nella concretezza, nella vita quotidiana di un essere umano che
non si accontenta di essere "buono", ma si sforza con tutto se stesso di creare
attivamente il bene, quel "bene" che Tsunesaburo Makiguchi definì come
pubblico beneficio o pubblico guadagno. E per fare questo combatte il male
senza paura e senza riserve.
Il Daishonin stesso si oppose alle credenze errate della sua epoca e non ebbe
timore di mettere a rischio la propria vita. Opporsi al governo, alle autorità
religiose, era una inevitabile azione, di estremo coraggio, di estrema
compassione, per non lasciare che la Legge mistica andasse distrutta. Perché le
persone tutte potessero attingere all'infinitopotere di Nam-myoho-renge-kyo e
condividere con lui la possibilità di essere felici, illuminate. Così facendo, così
opponendosi al male, cambiò la storia e diede alla gente quella speranza infinita
che ancora oggi cambia il destino di tante persone. "Usò" il male come uno
strumento per creare il bene. Senza quel coraggio, senza quelle precise azioni di
sfida e di opposizione, probabilmente il suo insegnamento non avrebbe avuto la
forza che ha.
C'è comunque da fare attenzione. Soprattutto perché è facile prendere abbagli.
Impugnare strane armi e fare crociate dannose contro gli altri in nome di qualche
male da estirpare.
Opporsi al male non è una guerra contro le persone. Credo che non lo sia mai.
Perché ogni persona è degna di rispetto, ogni persona è una manifestazione di
Nam-myoho-renge-kyo. E se non riusciamo a provare compassione, amore, se
non riusciamo a desiderare il bene di quella persona, malgrado quello che ci sta
facendo sia doloroso, il male ce l'abbiamo dentro e da dentro dobbiamo
cominciare. Dai nostri sentimenti di rabbia, impotenza, dolore. Dalla nostra
ignoranza, dalla mancanza di fiducia, dal nostro non saper vedere le potenzialità
della sua natura illuminata, e quindi neppure della nostra. Il Bodhisattva Mai
Sprezzante lottava contro il male dicendo a ogni persona che sicuramente
avrebbe raggiunto l'Illuminazione. Nel dichiarare il suo rispetto e nel suo
mostrare agli altri la loro natura illuminata, combatteva l'oscurità, l'ignoranza
sulla Legge e sulla Buddità, il male del suo tempo e della sua terra. Gli tiravano
sassi, lo insultavano, lo deridevano. E lui continuava a dire loro che avrebbero
raggiunto l'Illuminazione, solo scostandosi un poco. Senza sentirsi offeso,
perso, giudicato o vittima, senza fare alcunché di offensivo per la loro vita.
Ecco. Dovremmo imparare dai nostri maestri, cosa significa lottare contro il
male. Come ha combattuto Nichiren Daishonin? E Shakyamuni? E Josei Toda?
Come sta combattendo Daisaku Ikeda?
A me sembra così: con l'arma della parola, con un dialogo che non si arrende
mai. Rispettando ogni vita e preoccupandosi di essa. Coltivando con coraggio
la compassione che spazza via dubbi, rancori, insicurezze, lamentele.
Costruendo uno stato vitale di felicità imperturbabile, più forte e potente di
qualsiasi ostacolo, di qualsiasi nemico.
Persino quando stava per essere decapitato Nichiren Daishonin si preoccupava
di come potevano stare o essere spaventate le guardie, di quali conseguenze
quel gesto avrebbe avuto sulla loro vita e sul paese. Non le odiava, non provava
ostilità, non si sentiva impotente e non taceva. Fu talmente saldo nella sua fede
da provare gioia al pensiero che stava dando la sua vita per il Sutra del Loto.
Questo suo vincere nei confronti di qualsiasi sentimento negativo verso la vita di
altri esseri umani gli dava una forza che niente avrebbe potuto distruggere.
Provate a pensare a quale battaglia deve aver combattuto e vinto dentro di sé. E
a come in seguito insegnò a Shijo Kingo a lottare contro il male che gli stava
facendo il suo signore: lo incoraggiò a rimanere saldo, saggio, a parlare e con
rispetto e verità, a sconfiggere la propria collera e la propria delusione, a non
lamentarsi.
Pensate a Toda, messo in carcere ingiustamente, che non si concentrò sul male
che stavano facendo a lui e al suo maestro, non imprecò, non cedette al dolore
o al risentimento. Usò quella cella e quella mancanza di tutto per cercare ancora
più fortemente la propria Illuminazione e poter guidare con più forza e saggezza
il movimento di kosen-rufu. Se seguiamo il loro esempio, il loro spirito, se non ci
discostiamo con opinioni egocentriche che tengono conto solo di noi stessi e
dei nostri sentimenti, il male può diventare addirittura un amico. Addirittura un
maestro, afferma Ikeda,7 se riusciamo a vedere in esso la strada da
intraprendere, la lotta che dobbiamo vincere. Non domani, non in un percorso
graduale, non quando ci sentiremo pronti, ma ora. In questo luogo, in questo
istante posso decidere di sconfiggere il male che vedo dentro e fuori di me.
E vincere. Da Budda e da essere umano.
Note
1) Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Mondadori 2006, vol. 2, p. 122
2) RSND, 1, 650.
3) RSND, 1, 371.
4) Il kalpa della diminuzione, RSND, 1, 994.
5) D. Ikeda, op. cit., p. 130.
6) Ibidem, p. 131.
7) Ibidem, p. 131.
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