ACCETTARE IL CAMBIAMENTO
di Laura Barbieri
È impossibile ignorare le quattro sofferenze della vita: nascita, vecchiaia, malattia e morte. Quando i cambiamenti minacciano l'equilibrio raggiunto, è importante imparare a rinnovarsi.
Nel film The Big Fish il protagonista lascia il paese in cui è nato e cresciuto e si avventura nel mondo. È giovane, ottimista e baldanzoso perché fino a quel momento la vita è stata per lui una continua serie di successi. Così, quando incontra l'impresario di un circo, è certo di ottenere il lavoro che desidera. L'impresario, tuttavia, lo riporta brutalmente alla realtà dicendo: «Tu eri un grosso pesce in una piccola pozza, ma questo qui è l'oceano e ci stai annegando. Segui il mio consiglio, torna a Pozzangherville». L'impietoso giudizio dell'impresario rivela un principio importante: è la scala di valutazione a determinare le reali dimensioni di ogni fenomeno. Il protagonista ha costruito sicurezze relative a sé e agli altri in un ambiente circoscritto, conosciuto fin nei dettagli, ha sviluppato e affermato la propria identità in un luogo piccolo e protetto. In questa pozza piccola è a proprio agio, circondato da certezze, si sente forte e sicuro, ben attrezzato ad affrontare la vita, in sostanza si percepisce come un pesce grosso. Ma, uscito da un ambito protetto e conosciuto, le proporzioni fra il pesce e il suo ambiente si capovolgono e, di fronte alle dimensioni sterminate dell'oceano, il pesce si rivela essere piccolo.
È un'immagine che racconta in maniera efficace il processo dello sviluppo e del cambiamento di prospettiva che crescere inevitabilmente produce. Fin dal momento della nascita, che avviene proprio abbandonando una pozza piccola, si è costantemente esposti a un continuo passaggio in pozze di dimensioni crescenti, e ogni volta che ci si lascia alle spalle la pozza piccola per affrontare un ambiente sconosciuto e più vasto, si vive una condizione di preoccupazione e di ansia, quel timore di risultare inadeguati che il Buddismo definisce come "sofferenza della nascita" o della crescita.
Ogni cambiamento è intessuto della sofferenza di nascere, di rinnovarsi e rigenerarsi, di trasformare il proprio modo di pensare a se stessi, agli altri e all'ambiente. A volte i cambiamenti sono attesi, più spesso si impongono, comunque, che ci si tuffi volentieri o si venga sospinti dalla corrente, l'effetto è lo stesso: è necessario nuotare in un mare sconosciuto. E, di fronte a questa prospettiva, a volte si soffre tanto da resistere con ogni risorsa al flusso della vita, nuotando ostinatamente controcorrente in prossimità delle rapide.
È il caso, ad esempio, del passaggio dalla gioventù all'età adulta, che la società in cui viviamo tende a prorogare sempre più. O anche la difficoltà di accettare il passaggio dalla condizione di single a quella di coppia e poi dalla coppia alla famiglia con figli. A volte è una sofferenza che emerge quando i figli conquistano la propria autonomia, quando finisce una relazione profonda, quando si cambia lavoro o si va in pensione, quando ci si trasferisce o anche quando cambia il livello di responsabilità. Allora tutto quello che si era abituati a considerare come un sistema di riferimento ben oliato e funzionante lascia il posto a una situazione aperta e completamente nuova.
Sofferenza della crescita
Affrontare le trasformazioni può fare emergere la sofferenza della crescita, che si nutre fondamentalmente di due illusioni. La prima è che sia possibile fermare il tempo, cristallizzare le situazioni positive della vita e proteggerle dai cambiamenti. I cambiamenti rappresentano quindi una minaccia, eventi che portano gli aspetti migliori della vita al di fuori del sistema di controllo che abbiamo creato. Insomma, ci si illude di poter allestire una piccola pozza, ben organizzata, nella quale mettere al riparo tutto ciò che ci è caro. La seconda illusione affonda le sue radici nella valutazione negativa delle proprie risorse e si può sintetizzare nella frase "non ce la farò mai". In questa prospettiva i cambiamenti diventano una fonte di ansia e preoccupazioni che si rinnova costantemente, perché si parte dalla certezza di essere sprovvisti di quanto necessario per affrontare positivamente le nuove sfide. Allora rintanarsi in una nicchia, in una piccola pozza, pare l'unica soluzione praticabile e si guarda con paura all'oceano.
di Laura Barbieri
È impossibile ignorare le quattro sofferenze della vita: nascita, vecchiaia, malattia e morte. Quando i cambiamenti minacciano l'equilibrio raggiunto, è importante imparare a rinnovarsi.
Nel film The Big Fish il protagonista lascia il paese in cui è nato e cresciuto e si avventura nel mondo. È giovane, ottimista e baldanzoso perché fino a quel momento la vita è stata per lui una continua serie di successi. Così, quando incontra l'impresario di un circo, è certo di ottenere il lavoro che desidera. L'impresario, tuttavia, lo riporta brutalmente alla realtà dicendo: «Tu eri un grosso pesce in una piccola pozza, ma questo qui è l'oceano e ci stai annegando. Segui il mio consiglio, torna a Pozzangherville». L'impietoso giudizio dell'impresario rivela un principio importante: è la scala di valutazione a determinare le reali dimensioni di ogni fenomeno. Il protagonista ha costruito sicurezze relative a sé e agli altri in un ambiente circoscritto, conosciuto fin nei dettagli, ha sviluppato e affermato la propria identità in un luogo piccolo e protetto. In questa pozza piccola è a proprio agio, circondato da certezze, si sente forte e sicuro, ben attrezzato ad affrontare la vita, in sostanza si percepisce come un pesce grosso. Ma, uscito da un ambito protetto e conosciuto, le proporzioni fra il pesce e il suo ambiente si capovolgono e, di fronte alle dimensioni sterminate dell'oceano, il pesce si rivela essere piccolo.
È un'immagine che racconta in maniera efficace il processo dello sviluppo e del cambiamento di prospettiva che crescere inevitabilmente produce. Fin dal momento della nascita, che avviene proprio abbandonando una pozza piccola, si è costantemente esposti a un continuo passaggio in pozze di dimensioni crescenti, e ogni volta che ci si lascia alle spalle la pozza piccola per affrontare un ambiente sconosciuto e più vasto, si vive una condizione di preoccupazione e di ansia, quel timore di risultare inadeguati che il Buddismo definisce come "sofferenza della nascita" o della crescita.
Ogni cambiamento è intessuto della sofferenza di nascere, di rinnovarsi e rigenerarsi, di trasformare il proprio modo di pensare a se stessi, agli altri e all'ambiente. A volte i cambiamenti sono attesi, più spesso si impongono, comunque, che ci si tuffi volentieri o si venga sospinti dalla corrente, l'effetto è lo stesso: è necessario nuotare in un mare sconosciuto. E, di fronte a questa prospettiva, a volte si soffre tanto da resistere con ogni risorsa al flusso della vita, nuotando ostinatamente controcorrente in prossimità delle rapide.
È il caso, ad esempio, del passaggio dalla gioventù all'età adulta, che la società in cui viviamo tende a prorogare sempre più. O anche la difficoltà di accettare il passaggio dalla condizione di single a quella di coppia e poi dalla coppia alla famiglia con figli. A volte è una sofferenza che emerge quando i figli conquistano la propria autonomia, quando finisce una relazione profonda, quando si cambia lavoro o si va in pensione, quando ci si trasferisce o anche quando cambia il livello di responsabilità. Allora tutto quello che si era abituati a considerare come un sistema di riferimento ben oliato e funzionante lascia il posto a una situazione aperta e completamente nuova.
Sofferenza della crescita
Affrontare le trasformazioni può fare emergere la sofferenza della crescita, che si nutre fondamentalmente di due illusioni. La prima è che sia possibile fermare il tempo, cristallizzare le situazioni positive della vita e proteggerle dai cambiamenti. I cambiamenti rappresentano quindi una minaccia, eventi che portano gli aspetti migliori della vita al di fuori del sistema di controllo che abbiamo creato. Insomma, ci si illude di poter allestire una piccola pozza, ben organizzata, nella quale mettere al riparo tutto ciò che ci è caro. La seconda illusione affonda le sue radici nella valutazione negativa delle proprie risorse e si può sintetizzare nella frase "non ce la farò mai". In questa prospettiva i cambiamenti diventano una fonte di ansia e preoccupazioni che si rinnova costantemente, perché si parte dalla certezza di essere sprovvisti di quanto necessario per affrontare positivamente le nuove sfide. Allora rintanarsi in una nicchia, in una piccola pozza, pare l'unica soluzione praticabile e si guarda con paura all'oceano.
Le quattro virtù
Quando si attraversa uno di questi momenti è utile ricordare che si tratta comunque di una delle quattro
sofferenze che caratterizzano l'esistenza di ogni essere umano e che il Buddismo ha avuto origine proprio
dal desiderio di Shakyamuni di trasformarle felicemente. Come sintetizza benissimo Katsuji Saito nel
secondo volume de Il mondo del Gosho: «Il punto fondamentale è non discostarsi mai dalla condizione
umana. Le altre religioni, nella loro ricerca dell'eterno, formulano l'idea di un paradiso la cui esistenza è
separata da questo mondo. Invece il Buddismo di Nichiren rivela un modo per trasformare ogni cosa in gioia
profonda e duratura, senza mai evadere dalla realtà di nascita, invecchiamento, malattia e morte» (MG, 2,
342).
È un'affermazione che contiene una promessa fondamentale: nessuna sofferenza umana è esterna al potere di Nam‐myoho‐renge‐kyo. Quindi è proprio quando una sofferenza si manifesta che diventa possibile trasformarla in una gioia profonda e duratura. La paura o la certezza di non potere superare un dolore, il senso d'inadeguatezza di fronte alle sfide quotidiane, il terrore di affrontare cambiamenti non desiderati e tutta la vasta gamma di sofferenze che fanno parte dell'esperienza umana possono diventare, recitando Nam‐myoho‐renge‐kyo, tante tappe di una vita serena e felice.
Daisaku Ikeda illustra questo potere di trasformazione della realtà della vita commentando una frase di Gosho: «"E quando, mentre siamo in questi quattro stati di nascita, vecchiaia, malattia e morte, recitiamo Nam‐myoho‐renge‐kyo, facciamo sì che essi diffondano la fragranza delle quattro virtù". Le quattro virtù, che indicano una condizione di libertà e gioia assolute, rappresentano il più alto stato di vita che possiamo raggiungere. "Vero io" indica lo stato di assoluta libertà di cui un individuo può godere quando manifesta il sé universale. "Eternità" indica la tendenza della vita di progredire e innovare costantemente, superando tutti i punti morti in un impeto inesauribile di energia creativa. "Purezza" è il potere della vita, che deriva dalla vitalità torrenziale del sé universale, di purificare l'io individuale dalle impurità egoistiche. E "felicità" indica il pulsare dinamico della gioia di vivere che genera un carattere equilibrato e dà gioia agli altri. Una persona la cui vita è illuminata in questo modo dalla Legge mistica manifesta il sé universale, che è così in grado di trasformare l'energia delle illusioni e dei desideri ‐ che sono concentrati nell'io egoistico dell'individuo ‐ in energia positiva» (D. Ikeda, Il Gosho e la vita quotidiana, ed. esperia, 2006, pag. 177).
Questa lettura della sofferenza come energia, che il potere di Nam‐myoho‐renge‐kyo trasforma in energia positiva, apre una prospettiva in cui ogni momento della vita può essere utilizzato per costruire una condizione vitale incorruttibile proprio partendo dalle quattro sofferenze e non cercando di evitarle o ignorarle. Quindi è proprio quando la sofferenza si manifesta che è possibile cambiarle di segno e farla diventare una forma di energia positiva, che ci avvicina all'unica cosa che conta, riconoscere in sé e negli altri la natura di Budda. Il premio di una vita spesa per kosen‐rufu non viene riscosso al termine dell'esistenza e goduto altrove, ma è rappresentato da una percezione dell'esistenza stessa in continuo mutamento, un viaggio avventuroso e creativo per attivare la condizione di Budda.
Il rinnovamento
Basterebbe "stare al passo" con il ritmo di continua trasformazione che Daisaku Ikeda imprime alle attività della Soka Gakkai per rendersi conto che rinnovarsi, essere freschi e dinamici, non dipende dall'età anagrafica, ma è una condizione interiore che rappresenta uno dei più significativi benefici della pratica buddista. Non a caso Johan Galtung ha paragonato Ikeda a una ruota che gira sempre, promuovendo incessantemente il dialogo e la pace, generando la saggezza necessaria per affrontare i problemi della società. Ma questo dinamismo, la capacità di anticipare le novità, non è la prerogativa degli uomini speciali, bensì il risultato di una vita spesa affrontando ogni genere di difficoltà per realizzare kosen‐rufu. Seguendo la sua guida, ognuno di noi può girare la ruota della Legge nel proprio ambiente, espandendo attraverso il dialogo la rete delle relazioni pacifiche.
Governare l'impermanenza
Daisaku Ikeda ci fornisce un esempio davvero importante di come si possa "governare" l'impermanenza trasformando i mutamenti anche apparentemente negativi in nuove risorse e rinnovandosi prima che si renda necessario farlo. Così i mutamenti cessano di essere qualcosa che si subisce e diventano situazioni che stimolano la ricerca di risposte nuove e originali. Allenandosi a seguire il ritmo che Ikeda imprime al movimento di kosen‐rufu si scopre che ogni aspetto dell'esistenza diviene dinamico e fresco. Anche per questo è una fortuna enorme potersi dedicare alla propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin insieme a lui.
Tornando all'immagine del pesce e della pozza, il Buddismo ci permette di sentirci felici e a nostro agio nell'oceano, non fragili e insicuri a Pozzangherville. O, per dirlo con le parole di Daisaku Ikeda: «Ogni cosa, tutta l'esistenza, è priva di sostanza propria, costantemente soggetta al cambiamento e all'impermanenza. Poiché il Budda percepisce la vera entità di tutti i fenomeni del mondo, così come sono, niente può disturbarlo» (Saggezza, 2, 88).
È un'affermazione che contiene una promessa fondamentale: nessuna sofferenza umana è esterna al potere di Nam‐myoho‐renge‐kyo. Quindi è proprio quando una sofferenza si manifesta che diventa possibile trasformarla in una gioia profonda e duratura. La paura o la certezza di non potere superare un dolore, il senso d'inadeguatezza di fronte alle sfide quotidiane, il terrore di affrontare cambiamenti non desiderati e tutta la vasta gamma di sofferenze che fanno parte dell'esperienza umana possono diventare, recitando Nam‐myoho‐renge‐kyo, tante tappe di una vita serena e felice.
Daisaku Ikeda illustra questo potere di trasformazione della realtà della vita commentando una frase di Gosho: «"E quando, mentre siamo in questi quattro stati di nascita, vecchiaia, malattia e morte, recitiamo Nam‐myoho‐renge‐kyo, facciamo sì che essi diffondano la fragranza delle quattro virtù". Le quattro virtù, che indicano una condizione di libertà e gioia assolute, rappresentano il più alto stato di vita che possiamo raggiungere. "Vero io" indica lo stato di assoluta libertà di cui un individuo può godere quando manifesta il sé universale. "Eternità" indica la tendenza della vita di progredire e innovare costantemente, superando tutti i punti morti in un impeto inesauribile di energia creativa. "Purezza" è il potere della vita, che deriva dalla vitalità torrenziale del sé universale, di purificare l'io individuale dalle impurità egoistiche. E "felicità" indica il pulsare dinamico della gioia di vivere che genera un carattere equilibrato e dà gioia agli altri. Una persona la cui vita è illuminata in questo modo dalla Legge mistica manifesta il sé universale, che è così in grado di trasformare l'energia delle illusioni e dei desideri ‐ che sono concentrati nell'io egoistico dell'individuo ‐ in energia positiva» (D. Ikeda, Il Gosho e la vita quotidiana, ed. esperia, 2006, pag. 177).
Questa lettura della sofferenza come energia, che il potere di Nam‐myoho‐renge‐kyo trasforma in energia positiva, apre una prospettiva in cui ogni momento della vita può essere utilizzato per costruire una condizione vitale incorruttibile proprio partendo dalle quattro sofferenze e non cercando di evitarle o ignorarle. Quindi è proprio quando la sofferenza si manifesta che è possibile cambiarle di segno e farla diventare una forma di energia positiva, che ci avvicina all'unica cosa che conta, riconoscere in sé e negli altri la natura di Budda. Il premio di una vita spesa per kosen‐rufu non viene riscosso al termine dell'esistenza e goduto altrove, ma è rappresentato da una percezione dell'esistenza stessa in continuo mutamento, un viaggio avventuroso e creativo per attivare la condizione di Budda.
Il rinnovamento
Basterebbe "stare al passo" con il ritmo di continua trasformazione che Daisaku Ikeda imprime alle attività della Soka Gakkai per rendersi conto che rinnovarsi, essere freschi e dinamici, non dipende dall'età anagrafica, ma è una condizione interiore che rappresenta uno dei più significativi benefici della pratica buddista. Non a caso Johan Galtung ha paragonato Ikeda a una ruota che gira sempre, promuovendo incessantemente il dialogo e la pace, generando la saggezza necessaria per affrontare i problemi della società. Ma questo dinamismo, la capacità di anticipare le novità, non è la prerogativa degli uomini speciali, bensì il risultato di una vita spesa affrontando ogni genere di difficoltà per realizzare kosen‐rufu. Seguendo la sua guida, ognuno di noi può girare la ruota della Legge nel proprio ambiente, espandendo attraverso il dialogo la rete delle relazioni pacifiche.
Governare l'impermanenza
Daisaku Ikeda ci fornisce un esempio davvero importante di come si possa "governare" l'impermanenza trasformando i mutamenti anche apparentemente negativi in nuove risorse e rinnovandosi prima che si renda necessario farlo. Così i mutamenti cessano di essere qualcosa che si subisce e diventano situazioni che stimolano la ricerca di risposte nuove e originali. Allenandosi a seguire il ritmo che Ikeda imprime al movimento di kosen‐rufu si scopre che ogni aspetto dell'esistenza diviene dinamico e fresco. Anche per questo è una fortuna enorme potersi dedicare alla propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin insieme a lui.
Tornando all'immagine del pesce e della pozza, il Buddismo ci permette di sentirci felici e a nostro agio nell'oceano, non fragili e insicuri a Pozzangherville. O, per dirlo con le parole di Daisaku Ikeda: «Ogni cosa, tutta l'esistenza, è priva di sostanza propria, costantemente soggetta al cambiamento e all'impermanenza. Poiché il Budda percepisce la vera entità di tutti i fenomeni del mondo, così come sono, niente può disturbarlo» (Saggezza, 2, 88).
Commenti
Posta un commento