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Il potere della resilienza di Antonella D'Oriano

Come trasformare il veleno in medicina

Rifletto sul concetto di "resilienza". In psicologia, la resilienza consiste nella capacità di far fronte agli urti della vita. Non si tratta semplicemente della capacità, certamente apprezzabile, di superare le difficoltà della vita. Se riusciamo ad attraversare i momenti difficili rimanendo in piedi non implica necessariamente che siamo resilienti. La resilienza è qualcosa di più: è la capacità di andare oltre quell'evento drammatico; è l'abilità di utilizzare proprio quell'evento per tirare fuori dalla propria vita potenzialità nuove e inesplorate. Essere resilienti significa sentire dentro di sé la possibilità di ricostruire dalle macerie una persona nuova, diversa, migliore. Non solo, si tratta di percepire che proprio "grazie" a quello sconvolgimento la nostra vita ha acquistato un senso più profondo, di inestimabile valore. E sì, tutto questo è molto diverso dal semplice sopravvivere a una difficoltà. Alle volte, infatti, vivere un evento traumatico ci chiude alla vita, ci rende più sfiduciati, più appesantiti, più tristi e ci fa trascinare la nostra quotidianità ormai priva di sogni. La resilienza, invece, ci apre agli altri, a noi stessi, alla vita in genere. Essa ci permette di continuare a cogliere le infinite possibilità che la vita ci offre sempre perché, in fondo, solo un atteggiamento di chiusura ci priva delle opportunità che sono sotto i nostri occhi ma verso le quali siamo diventati ciechi.
Grazie alla resilienza riusciamo, quindi, a farci rigenerare dagli "sgambetti" che la vita ci propone divenendo consapevoli del fatto che in ogni situazione la differenza la facciamo noi. In fondo un problema può essere paragonato a un grande masso sul quale inciampare per sprofondare nella terra o sul quale salire in piedi per guardare ancora più lontano. Dipende da noi. La resilienza mi fa pensare al concetto buddista secondo cui è possibile trasformare il veleno in medicina e mi accorgo che Nichiren Daishonin, con questo principio, aveva anticipato quello che innumerevoli ricerche scientifiche hanno poi confermato. Viviamo in un periodo di forte crisi.
Una crisi presente su più livelli, non solo quello economico. Eppure sembra essere proprio questo aspetto a spaventarci di più perché ci fa sentire il rischio della privazione di bisogni per noi fondamentali. La parola cinese per "crisi" è costituita da due ideogrammi: "pericolo" e "opportunità". A un certo punto della mia pratica buddista e della mia carriera lavorativa ho sentito che desideravo percepire appieno anche il senso dell'opportunità e non solo quello legato al rischio e alla paura. Ho capito che fino a quel momento non ero riuscita a realizzare i miei obiettivi lavorativi e che la mancata realizzazione aveva radicato in me un pensiero del tipo: «Se non ci sono riuscita finora, vuol dire che non ci riuscirò mai. È troppo difficile per me!». Non è stato semplice riconoscere questo tipo di pensiero perché era ben camuffato dalla miriade di azioni che attuavo in quella direzione. Queste azioni però mi portavano via energia e mi facevano sentire, alle volte, molto sconfitta. È stato un attimo, quell'attimo in cui ho scoperto che le mie iniziative si basavano su un sentimento di sfiducia; e su quello l'ambiente non mancava di rispondermi puntualmente. Sarà riduttivo, ma per me è stato un nuovo inizio quando ho scoperto di essere intimamente convinta che nella mia vita il passato si sarebbe perpetuato facendomi accumulare solo fallimenti. Questa consapevolezza mi ha messo di fronte alla sfida di utilizzare quel masso non per inciampare, stavolta, ma per vedere molto lontano. Ho capito che questa crisi globale ci mette di fronte alle nostre più profonde insicurezze perché ci porta a dubitare del nostro vero valore. Rischiamo dunque di intrappolarci nell'idea che se non abbiamo un lavoro, se non siamo capaci di sostenerci da soli, allora vuol dire che non valiamo.
Tutto ciò non fa altro che alimentare la nostra oscurità fondamentale che ci vuole remissivi, deboli e infelici.
La mia principale occupazione lavorativa è nell'ambito dell'infanzia. Negli ultimi anni ho incontrato grandi difficoltà nel mio luogo di lavoro perché sentivo che le mie capacità non venivano valorizzate né su un piano economico né come riconoscimento del ruolo. Desideravo dare di più, mettere a disposizione tutto ciò che - nei miei anni di formazione - avevo imparato, ma mi trovavo sempre in situazioni dove le mie idee non venivano considerate, apprezzate e tanto meno attuate. Inoltre soffrivo molto del fatto che, nonostante mi sforzassi di creare con i colleghi dei legami umani oltre che professionali, vivevo continue situazioni di tensione. Percepivo i rapporti tra noi come basati sulla collera e la colpevolizzazione, e ciò faceva emergere una profonda divisione. Dedicavo tutto il mio tempo libero a promuovere le mie idee altrove, ma con scarsi risultati. Più la situazione al lavoro peggiorava, più mi spendevo fuori per crearmi delle alternative, più fallivo. Nel frattempo mi dedicavo instancabilmente all'attività buddista istituzionale e a quella di protezione come byakuren al kaikan, anche se nella vita quotidiana mi scontravo sempre con le stesse situazioni. A un certo punto ho capito. Ho capito che quando mi dedicavo agli altrinella Soka Gakkai non mi risparmiavo. Quando svolgevo un turno di protezione davo il massimo di me stessa. Quando ero al lavoro, invece, non ci stavo al cento per cento. L'allenamento che avevo la fortuna di fare all'interno dell'organizzazione in realtà non lo stavo utilizzando per migliorare la mia vita. Stavo veramente sprecando un'occasione. Da quel momento in poi ho cercato di non risparmiarmi più. Decisa a offrire la parte migliore di me senza aspettarmi nulla in cambio, ho cominciato a mettere in campo tutte le mie competenze e ad arricchirle ascoltando ciò che di buono i miei colleghi avevano da dire. Ho pregato per la loro felicità e per sentire gratitudine nei confronti dei miei capi grazie ai quali guadagnavo dei soldi. Nel giro di poche settimane sono diventata consulente editoriale per un sito web dove mi occupo di psicologia e ho iniziato a offrire la mia collaborazione nell'unico sportello pubblico di psico-sessuologia presente sul territorio di Roma. Nel mio lavoro, poi, i rapporti con i colleghi sono notevolmente migliorati, giorno dopo giorno. Infine, il mio capo mi ha messo al corrente che a breve sarebbero partiti dei nuovi progetti dove veniva richiesta la mia collaborazione: si tratta, in parte, delle idee che per anni aveva scartato!
Ciò che mi ha aiutato ad andare fino in fondo a questa esperienza è stato sentire il mio valore personale. Tale valore non potranno darmelo né il lavoro né i soldi perché io, come tutti, lo possiedo già per il semplice fatto che esisto, che sono viva e sono un Budda. Questa nuova consapevolezza mi ha permesso di vivere gli ostacoli che incontravo come l'amo che mi aiutava a tirare fuori una qualità che non avevo ancora sviluppato. Da questa esperienza ho imparato che gli ostacoli sono per me degli espedienti, degli amici, dei buoni amici che attraversano la mia vita allo scopo di lasciarmi più forte e più motivata di prima. Credo che questo abbia molto a che fare con la resilienza, perché le mie sofferenze non mi hanno allontanata dagli altri, anzi mi fanno scoprire e riscoprire ogni volta di più la mia umanità. È stato questo un percorso che mi ha portato, come insegna Nichiren Daishonin, a trasformare il veleno in medicina. Josei Toda disse: «Gli ostacoli servono per metterci alla prova e allenarci, quindi sono come un istruttore di judo che scrolla i propri allievi per fortificarli. Se affrontate ogni ostacolo pronti a fronteggiarlo e decisi a vincere, riuscirete a superare le difficoltà più impegnative» (citato in Il Gosho e la vita quotidiana, Esperia, vol. 2, p. 16).
Se guardo dentro il mio cuore, sento che è proprio così! 

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