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Lascia o raddoppia di Lodovico Prola

«In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge- kyo con lo spirito di "diversi corpi, stessa mente", senza alcuna distinzione fra di loro, uniti come i pesci e l'acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. In ciò consiste il vero scopo della propagazione di Nichiren. Se è così, anche il grande desiderio di un'ampia propagazione potrà realizzarsi» (L'eredità della Legge fondamentale della vita, RSND, 1, 190; cfr. SND, 4, 224).
A volte è molto difficile riuscire a sperimentare questo tipo di relazione tra compagni di fede. Chi di noi, nel corso del suo impegno attivo all'interno della Soka Gakkai, non è rimasto deluso per qualche motivo, rattristato da qualche discussione, infastidito da qualche atteggiamento, contrariato da qualche decisione? A qualcuno sarà anche successo di perdere un importante punto di riferimento... In quei difficili momenti si può sentire il desiderio di "allentare la presa", se non proprio di abbandonare l'organizzazione.
Questo pensiero che si insinua nella nostra vita spesso cela un vero e proprio demone. Non solo perché praticando il Buddismo "in solitaria" mancherebbe il sostegno dei membri, l'incoraggiamento delle persone più anziane nella fede e verrebbero a mancare tutti gli stimoli che offriamo e ci vengono offerti nei nostri meeting di discussione, di studio, di divisione, o ai corsi, ecc. Ma perché, alla luce di quanto afferma Nichiren nel Gosho, senza lo spirito di voler costruire l'unità di "diversi corpi, stessa mente" non si può progredire nella strada dell'Illuminazione e nella realizzazione di kosen-rufu. Lasciare la comunità dei credenti significa abbandonare il voto che condividiamo con il Budda originale Nichiren Daishonin e con Daisaku Ikeda. Essere discepolo di Ikeda significa infatti impegnarsi seriamente per kosen-rufu all'interno della Soka Gakkai, lavorando affinché essa migliori continuamente.
La nostra organizzazione non è perfetta. Poiché è fatta da esseri umani è perfettibile proprio come lo siamo noi, ed esprime i pregi e i difetti, le forze e le debolezze, le rigidità e la compassione degli uomini e delle donne che ne fanno parte.
Ma se vogliamo migliorare ciò che è fuori di noi dobbiamo innanzitutto cambiare noi stessi. Se per debolezza abbandoniamo il campo, il demone sarà davvero contento. La fede è in grado di sviluppare tutta la forza necessaria per vincere il demone, cambiare noi stessi e il nostro ambiente.
Ma c'è dell'altro: riconoscendo il demone in questa spinta che ci esorta ad abbandonare, ad allontanarci dalla fede e dalla comunità buddista, possiamo trasformare questi momenti di crisi in occasioni decisive per rafforzare e approfondire la relazione diretta con il Gohonzon e con il maestro. Quando vengono meno gli appoggi che inconsciamente ci siamo costruiti, la nostra fede può divenire più diretta, più autonoma, possiamo iniziare a camminare ancora di più con le nostre gambe.
L'unità dei credenti implica una relazione orizzontale e una verticale, come la trama e l'ordito: è orizzontale, perché riguarda i rapporti tra i credenti, e verticale, perché l'unità è il frutto della relazione col maestro, della condivisione del suo stesso spirito, dello stesso desiderio di realizzare kosen-rufu. Non la simpatia, l'amicizia o chissà cos'altro: è il "voto" la colla della comunità buddista. 

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